Cartesio


Non c'è nulla interamente in nostro potere,se non i nostri pensieri.
Cartesio

mercoledì 19 agosto 2020

Mazara nel centenario di Pietro Consagra - Ottobre 1920 – 2020


Inizio in sottotono delle celebrazioni dello scultore mazarese, mentre rimangono freddi i rapporti tra l’Archivio “Pietro Consagra” e la Città.

 foto di Luigi Tumbarello

C’era attesa da parte della città degli eventi programmati dall’amministrazione comunale nell’ambito del centenario della nascita di Pietro Consagra (Mazara 1920; Milano 2020). In considerazione, anche, che la ricorrenza dei cento anni dalla nascita sancisse il momento della cucitura dei rapporti, assai deteriorati, tra l’Archivio Consagra e la sua città di origine. 
Sono sempre stati rapporti complessi, quelli dell’artista con i suoi concittadini, che hanno origini lontane, a partire dagli anni sessanta.
E’ una strana storia, fatta di proposte, progetti, critiche, veti, ripensamenti, finanziamenti, impegni politici, promesse e delusioni. Tutto ha avuto inizio negli anni ‘80, quando, visitando la sua Città nativa, Pietro Consagra rimaneva infastidito dall’insolente presenza del Palazzo della Città, l’alieno, come usava dire, che nella sua anonima bruttezza, devastava la piazza più bella, ne annichiliva l’armonia, ne umiliava la storia.
L’artista si mostrava ancora più severo con quelli che Lui considerava, ingenuamente, i suoi paesani, i quali con il loro silenzio e la loro indifferenza, si erano supinamente assuefatti al mostro senza che da costoro venissero prodromi di reazione e manifestazioni di rigetto. E’ al ritorno a Roma e poi a Milano che il maestro inizia a progettare, secondo la sua filosofia della città frontale, una grande opera scultorea che nascondesse l’alieno, e che desse alla piazza e alla sua bellezza architettonica, una prospettiva di affascinante violenza dal punto di vista artistico.

Il progetto della Facciata, inizialmente accolto con perplessità e riserva, più volte ridimensionato, rivisto, ridisegnato, veniva finalmente approvato dall’a.C. Del tempo e finanziato dalla regione. Contraria  al progetto una roboante mediocrità culturale cui era devota una parte dei così detti tecnici professionisti, con a capo geometri, ingegneri e architetti locali, ai quali si  associava in mutuo soccorso la Bella Addormentata dell’intelligence della Soprintendenza ai BB.CC. Fino ad allora assente, dormiente o distratta nei confronti dell’alieno, la quale, risvegliatasi bocciava seduta stante, con argomentazioni poco convincenti, il nuovo progetto, senza capire di che cosa si trattava. 
Quelle ambiguità di fondo, le arretratezze culturali, le ottusità burocratiche della soprintendenza ai BB.CC. L’assenza di una vera politica culturale da parte delle amministrazioni comunali, che avrebbero dovuto difendere politicamente l’opera del grande artista mazarese, hanno fatto perdere a Mazara una occasione storica per un effettivo rilancio sul piano artistico e turistico.
Quella bocciatura senza argomentazioni valide procurò una ferita profonda nell’artista, mortificando la sua creatività e gettando i presupposti per un suo ripudio verso quella città irriconoscente e soprattutto profondamente provinciale.
L’alieno in seguito sarà demolito e sostituito da una costruzione minimalista, anonima, piatta, insignificante sul piano architettonico e soprattutto artistico, nonostante il tentativo di qualche bassorilievo inserito frontalmente per farlo emergere dall’insignificanza. Il tutto con il placet di quella Soprintendenza sempre assopita.
L’amore di Pietro Consagra verso il suo “paese” è stato tale che nel 1964 regalò ai suoi concittadini la fontana, una scultura bronzea che sarà collocata nella piazza Mokarta antistante il lungomare; anni dopo, donò anche l’intera sua opera grafica, una scultura in marmo e una machette in bronzo, esposti oggi nell’apposita galleria museo, intitolata al maestro,  del collegio dei gesuiti.
foto di Luigi Tumbarello
 La fontana con il gruppo bronzeo non viene capita e compresa dai mazaresi, anzi, viene persino derisa e schernita. Abbandonata a se stessa, umiliata dall’indifferenza delle varie amministrazioni che negli anni si susseguono, offesa dall’incuria e da interventi irresponsabili e raffazzonati per quanto riguarda il sistema idrico, l’opera d’arte ha subito nel tempo la violenza delle intemperie, il degrado e la perdita di alcune placche metalliche.  Qualche anno fa, una relazione degli inviati dell’archivio Pietro Consagra, scesi appositamente da Milano, per documentare le reali condizioni del gruppo scultoreo, definiva in forma tranciante, che la fontana e gli elementi scultorei si trovavano in condizioni penose, di indicibile deterioramento creando sconcerto e irritazione da parte dell’archivio Consagra.
La bocciatura della facciata e il disinteresse per le condizioni della fontana, accentuarono nello scultore la delusione e soprattutto la consapevolezza di essere stato tradito dai politici, causando ferite non più rimarginabili. É l’inizio di una incomprensione tra lo scultore e i suoi concittadini, che gradualmente si trasformerà in una cesura che traccerà un solco profondo colmo di amarezza, di delusione. Consagra non ritornerà più nel suo “paese”.
A pochi chilometri di distanza, Pietro Consagra era stato chiamato da un politico culturalmente raffinato, eclettico, amante dell’arte, e soprattutto un vero e sincero amico, che lo avrebbe invogliato a esprimere pienamente tutte le sue energie creative. In quegli anni si doveva costruire Gibellina distrutta dal terremoto. Nella costruenda cittadina belicina ha di fatto materializzato le sue teorie della Città frontale. Gibellina divenne un museo en plai air di istallazioni frontali progettate e realizzate da Consagra. Alla sua morte,lo scultore ,nel suo testamento, espresse la volontà che fosse Gibellina il  luogo dove tumulare le proprie spoglie.
Fu uno schiaffo ai suoi ex paesani.  Quel 20 luglio del 2005, nessun rappresentante ufficiale né il gonfalone   della città nativa furono presenti a rendergli omaggio alla sua tumulazione né ai funerali solenni in Campidoglio di qualche giorno prima.  Nel cimitero di Gibellina era presente un anonimo assessore disperso tra la folla. Questa è stata la gratitudine dei mazaresi.
Il centenario era e rimaneva l’occasione unica per mostrare al mondo che Mazara non è irredimibile nei confronti del suo più famoso artista. Si riponeva la speranza in un superamento delle incomprensioni con l’Archivio Consagra attraverso l’organizzazione di eventi che onorassero il debito verso il maestro, un riconoscimento, seppur tardivo. Eventi che costituissero anche un richiamo per la città e l’arte, la cultura e il turismo. Ma è mancata, all’interno della stessa A.C., una struttura di competenze adeguate, con capacità di ordire quella trama di avvicinamento e di inizio di un dialogo che potesse superare quella chiusura e quel tranciante diniego a ogni forma di collaborazione da parte dell’archivio Consagra.
Così come ha fatto la vicina Marsala, che nell’anticipare di un anno il centenario della nascita, ha organizzato una bella mostra sulle opere dello scultore mazarese con il sostegno della Fondazione Archivio Pietro Consagra, richiamando l’attenzione dei media nazionali e internazionali,  nonché migliaia di visitatori.
Anche Gibellina, stanziando oltre trenta mila euro, ha iniziato, nella ricorrenza del centenario, a fare restaurare la Città di Tebe, le sculture scenografiche della città frontale che l’artista aveva creato Oedipus Rex.
Speranze e aspettative andate deluse.
 Per quanto riguarda la città, il solo Istituto Euroarabo, una associazione culturale, ha voluto commemorare autonomamente i cento anni dalla nascita dell’artista, organizzando una interessante tavola rotonda con contributi di studiosi diversi che hanno composto il ritratto di Consagra scultore, architetto, progettista, intellettuale a tutto tondo.
 Da parte dell’amministrazione, degli ambiziosi progetti preceduti da roboanti annunci nei mesi scorsi, della straordinarietà degli eventi che avrebbero dovuto essere organizzati, non vi è traccia alcuna.
Per i cento anni di Consagra, l’Amministrazione comunale si è limitata a organizzare una serata di testimonianze, di intermezzi musicali, di videate, di proiezioni di parti di registrazioni televisive, di letture, non certamente esaustiva, per quanto riguardano i rapporti e le relazioni tra l’artista e i suoi ex paesani, tra l’Archivio Consagra e le amministrazioni che nel tempo hanno governato la città.  Ci si aspettava altro. Nessuna parola è stata proferita in proposito, né un mea culpa da farsi perdonare. Nessun solco da colmare, nessuno strappo da ricucire. Non è stato un buon segnale per commemorare Pietro Consagra.
 Annunci con le solite, rituali, generiche promesse di ricollocare e restaurare le opere scultoree e grafiche del Maestro in un museo che le renda visitabili dai cittadini, come se le stesse opere non fossero già fruibili nel museo da decenni. L’avere minimizzato i contrasti con l’Archivio Consagra, non ha contribuito a saldare il debito del suo paese originario con l’Artista.
L’altro progetto che prevede il restauro della fontana con il gruppo bronzeo, sembra, dopo tanti annunci retorici, avviato a trovare uno sponsor tecnico che si faccia carico del finanziamento e della ricerca di una impresa per i lavori di restauro. Tutto l’iter progettuale, già dalle prime fasi, si è mostrato incerto e contraddittorio da parte dell’amministrazione. Dopo dichiarazioni e foto di rito dei mesi scorsi, in cui si prospettava che a collaborare sarebbe stato l’Istituto Centrale del Restauro di Roma, è di qualche giorno fa la comunicazione sul sito ufficiale del Comune, che il progetto del restauro, a seguito di una convenzione con la Soprintendenza di Trapani, è stato elaborato dai tecnici restauratori della Soprintendenza.  Ironia della sorte: quella Soprintendenza che aveva bocciato la facciata.
foto d Luigi Tumbarello
Sarà il Comune a bandire una gara per la ricerca dello sponsor tecnico. Questo significa che dalle casse comunali non sarà versato un solo euro per il restauro. Soluzione che genera delle perplessità sul piano della realizzazione, conoscendo i tempi e le pastoie imposte della burocrazia. Se il restauro sarà realizzato, sarà senz’altro un merito di questa A.C.
 Si potrebbe investire la somma risparmiata per realizzare un importante evento culturale e artistico di spessore internazionale. Sembra che non vi siano progetti a tal proposito.
(Questo mio post è stato pubblicato recentemente su Primapagina Mazara)

sabato 2 maggio 2020

Due mesi di isolamento. Il futuro distopico



Giorno sessantesimo di reclusione. Niente di nuovo sotto il sole; cielo grigio intenso come grigi e opachi sono i messaggi che ci arrivano dal mondo scientifico.
 Gli scienziati continuano a imperare sui media, saltando da un canale all’altro, da una tv all’altra, in tutte le ore, mattino, pomeriggio e sera. Come personaggi di soap opera dalla loro bocca non esce alcuna informazione coerente, anzi, sembrano che facciano a gara in questo festival dello sproloquio. Trovano anche il tempo, in questa fregola dell’apparire ad ogni costo, di insultarsi reciprocamente come dei ragazzini. Solo che i ragazzini li possiamo comprendere, ma da costoro, alle cui opinioni sono affidati i nostri destini, ci aspettiamo comportamenti sobri e non slabbrature.  Persino un premio Nobel come Montagnier s’è immerso in questa palude di supponenza, fake e battute da sagra paesana. Effetti del coronavirus sulle sinapsi neuroniche.


Siamo precipitati in un infernale girone dantesco in cui le case di riposo degli anziani, che abbiamo imparato a conoscere come RSA, sono sotto inchiesta da parte della magistratura. Si parte anche questa volta da quelle della Lombardia e dal Pio Albergo Trivulzio. Sembra un film già visto, un ritorno al passato, a quel 17 febbraio 1992. Solo che questa volta si contano i morti. Il PAT o la baggina, come la chiamano affettuosamente i milanesi, insieme ad altre decine di case per anziani, diventano un simbolo di lotta politica. Ci mancava anche questa.
Si scopre che la metà dei decessi e dei contagi avvengono nelle RSA, lombarde, piemontesi, venete, toscane, emiliane, laziali, dell’intero Paese. In Sicilia abbiamo inoltre il caso Troina.  L’OMS nel suo ultimo comunicato scrive che la maggior parte dei decessi degli anziani dovuti alla pandemia, avviene nelle RSA di tutti i Paesi colpiti. Da noi le bordate di denuncia dei media si scagliano in particolar modo contro il sistema sanitario lombardo. Il quale avrà fatto anche gravissimi e ingiustificabili errori, dovuti anche ad un sistema sanitario fortemente incentrato sull’ospedalizzazione e dove la medicina territoriale è marginale. 

Si dimentica, però, e colpevolmente, che su quella regione è avvenuto qualcosa di assolutamente imprevedibile e inimmaginabile per velocità e per intensità. Una valanga epidemica sin dai primi segnali trascurata a livello nazionale e soprattutto dalla scienza, con in testa l’OMS seguito da virologi e epidemiologi nostrani sino allora sconosciuti al grande pubblico.

 Le responsabilità di istituzioni come ISS e ITS, in quelle prime fasi, non sono irrilevanti. La politica è stata tratta in inganno dalla superficialità e dall’approccio pressappochistico dei virologi, epidemiologi, infettivologi, clinici, medici e persino infermieri, fino al punto da indurre il presidente del consiglio a dire che “Tutto era sotto controllo “e il segretario del PD Zingaretti, in modo guascone, invitare i milanesi a prendersi un aperitivo con lui. Solo che era un aperitivo al covid19.
Ed è questa organizzazione sanitaria gestita in maniera scriteriata che le responsabilità vanno collegialmente ricercate, oltre a livello regionale, anche a livello centrale. Perché la tutela della salute collettiva del Paese viene costituzionalmente riconosciuta al governo.


I primi innocui focolai sono serviti da arma di distrazione di massa per gli altri focolai che covavano lentamente nella parte più industriosa e popolosa della Lombardia, e che dopo qualche settimana avrebbero sviluppato quell’enorme vampata epidemica che avrebbe messo in crisi un sistema di per se non attrezzato per grandi epidemie.  Frattanto il virus si diffonde, dai primi di gennaio, tranquillamente e per oltre un mese e mezzo, senza che nessuno presti attenzione a certe anomalie di ricoveri ospedalieri.
Nel frattempo alla domanda se possa esserci un rischio contagio in Italia, Licciardi dell’OMS risponde: «Non lo possiamo escludere in modo categorico, ma grazie alla tempestività e alle misure adottate dal Governo dobbiamo dire che è molto basso, così come non c’è una emergenza pandemia». Licciardi sarà chiamato come consulente del ministro della sanità Speranza.

 Intanto, la gente continua a girare liberamente nei pronto soccorsi e nelle RSA che in tal modo si trasformano in nuclei di contagio e in residenze di morte.
Proprio quelle RSA attorno alle quali si sarebbe dovuto costruire uno scudo con il quale proteggere proprio quelle persone più deboli, inermi bersagli. Una mattanza di anziani che per la protezione civile e per i politici diventavano solo freddi numeri di bollettini dell’horror, usati come vettori per insinuare il virus della paura in milioni di persone.
Più che il covid19, lo sterminio di anziani, di medici, di infermieri, di religiosi e religiose è da attribuire a un sistema sanitario schizofrenico e inadeguato sul piano della gestione delle responsabilità e delle competenze.
É da questa ecatombe che ci si è rende conto che il nostro Paese ha un mixer di eccellenze e mediocrità. Il primo è il sistema ospedaliero che si è dimostrato all'altezza. La mediocrità è nel modello di prevenzione.


 La sanità somiglia sempre più a un’armata Brancaleone priva di idee e totalmente assoggettata alla singolarità e persino alla stravaganza degli innumerevoli tavoli tecnici delle varie regioni, tutti disarticolati e in concorrenza tra loro. Non sfugge a questa regola la pletora di consiglieri, di esperti, di comitati scientifici di cui si avvale e ai quali si è affidato, deresponsabilizzandosi dalle proprie competenze, lo stesso governo centrale.
Tutti i decreti restrittivi sono vergati sotto dettatura dei vari comitati tecnico scientifici. Sono gli scienziati che nel far passare le loro opinioni personali come certezze scientifiche inconfutabili, nel sostituirsi e nel tenere sotto scacco la politica, dettano le regole sociali, economiche, relazionali, piuttosto che limitarsi esclusivamente a quelle strettamente sanitarie, assumendo, di fatto, un potere insindacabile al di là di ogni principio costituzionale oltre che di buon senso. 
Così facendo, imponendo le loro opinioni non confortate da evidenze oggettive, e avocando a se anche il ruolo che è della politica, di fatto screditano il valore stesso della scienza che viene ridotta a un insieme di opinioni spesso contraddittorie.

 Scrivo questi appunti mentre il calendario, sul desktop segna il 1 Maggio; quella che era una volta la Festa del Lavoro, cambia connotazione, a partire dal lavoro che non c’è più. È l’inizio di una seconda fase ombrosa, di cui non si intravedono i contorni e lascia immaginare un futuro di decrescita sociale dalle conseguenze imprevedibili. Più degli scienziati avremo bisogno di psicologi e sociologi per comprendere in che modo affronteremo l’uscita da questa tragedia pandemica, che ci ha fatto scoprire la paura della morte, al punto di considerarla una evenienza estranea alle umane vicende, un imprevisto ingiusto, e non l’altro estremo più significativo del progetto di segmento di  vita biologica nella sua totale compiutezza. La paura della morte è entrata violentemente, in questi due mesi di totale isolamento tra le mura domestiche, in modo assillante, resa più plastica dalle tabelle numeriche tanto illeggibili quanto oscure, dei bollettini funerei che ogni giorno sciorina la Protezione civile.  

Intanto in queste lunghe settimane di cessione di diritti, abbiamo potuto imparare come le parole hanno un senso volatile, sono sospese, leggere, come il tempo che trascorriamo. È così che dall’informazione, dalla rete, si assiste ad un profluvio di schizofrenia dell’informazione.   Ancora una volta i social si confermano campus operandi di linguisti, di accademici della semantica, di cultori dei sintagma, tutti a spiegare il significato di assembramento, distanziamento, congiunti. Tuttavia, più di ogni altro sostantivo, mi ha colpito nella diretta tv del presidente del consiglio, l’uso ripetuto, insistente, marcato, deciso, vessatorio, del verbo “consentire” alternato alla sua declinazione negativa. Mai nella storia della repubblica, era stato usato in tale forma.
Un “non consentiremo” che nasconde l’incapacità di prospettare un percorso chiaro, di speranza, di incoraggiamento, di sostegno morale, di uscita dall’incubo della paura a cui è sottoposto l’intero Paese.


CTS
Per giustificare il prolungamento del lockdown e la riapertura delle scuole, delle chiese e di alcune attività artigianali come i bar, i parrucchieri, i barbieri, il governo, si fa scudo di un report vergato dal CTS. Tale informativa considerata riservata, per non provocare panico nella popolazione, viene fatta arrivare ai soliti giornalisti amici sotto forma di velina. Cosa avrebbe dovuto creare il panico e la paura in milioni di italiani? Secondo questo studio, che in seguito sarebbe stato smontato punto per punto sul piano dei numeri oltre che su quello della logica, da  scienziati, leggi qui, da Carisma, leggi qui, e da altri ,leggi qui, una eventuale apertura totale avrebbe provocato scenari distopici, addirittura un ricovero di 151.000 contagiati in terapia intensiva su un totale di ricoveri di 450.000. Numeri insostenibili che avrebbero provocato un’apocalisse incontrollabile. Solo che queste conclusioni facevano parte di uno dei 93 scenari ipotizzabili e quelle cifre rappresentavano l’aspetto più estremo, considerato dagli stessi autori del report possibile sul piano teorico, ma estremamente improbabile e dunque irrealistico.


Perché, allora, il governo ha accettato una simile ipotesi? Forse chi lo ha proposto ha omesso che lo studio aveva un alto grado di improbabilità? Oppure lo stesso governo è stato incapace di leggere quella relazione in tutta la sua completezza? Possibile che in quella pletora di scienziati e consulenti esperti del governo, tra CTS, Protezione Civile, Task Force, ISS, nessuno abbia mai avuto dubbi sull’accettabilità probabilistica di quel discutibile report e di quello scenario distopico? O semplicemente una efficace  operazione di propaganda politica, anche se supportata da nobili propositi? Questo forse non lo sapremo mai.
Quello che già sappiamo di certo è il disastro economico in cui è stato trascinato il Paese; intanto assistiamo alla tragedia dei milioni di disoccupati, le decine di migliaia di aziende chiuse, a una larghissima fascia di popolazione  in preda al terrore, alle fobie, alla depressione, al psicodramma del contagio e della morte. Il futuro distopico è già realtà.

sabato 11 aprile 2020

2020.La strage degli innocenti.



Il 2020 sarà ricordato nella storia come l’anno 
della strage dei nonni e dei medici e dei religiosi, le vere vittime del Covid19
.
Dopo trenta e passa giorni costretti al domicilio coatto, ci stiamo rassegnando, forse, che il nostro futuro e le nostre aspettative, sono legate non alle scelte della politica e del governo che noi abbiamo contribuito a formare attraverso il voto, ma alla decisione di un gruppo di scienziati che da consulenti del governo si sono autonominati essi stessi governo, prendendone tutto il potere.
Così saranno gli epidemiologi, i virologi, gli infettivologi, la scienza in genere, a decidere non solo sulla salute ma anche su come, quando, chi, dove incominciare la ripresa sociale e produttiva dell’intero Paese. Quali imprese devono riprender e in quali condizioni di sicurezza, quali settori, se privilegiare il nord o il sud o il centro del Paese.
Saranno sempre gli scienziati a decidere quali iniziative prendere per quanto riguarda la ricerca dei contagi e il loro tracciamento, a quali condizioni e con quali strumenti. Da oltre due mesi il governo del Paese ha abdicato al suo ruolo politico, non si è dotato di linee guida, o per incapacità o per convenienza, lasciando tutto nelle mani dei comitati scientifici, di esperti e di commissari, riducendo il Parlamento a mera e inutile comparsa.
 Questa situazione riporta indietro nel tempo a un tema che è stato centrale, immediatamente dopo la pubblicazione dell’Origine della Specie con la quale Darwin avrebbe rivoluzionato il pensiero scientifico. In quel confronto serrato tra accademici  e il  vescovo di Oxford, i neo evoluzionisti sostenevano che era arrivato il momento di limitare gli eccessivi privilegi che garantivano la supremazia anche politica dei prelati, e se non fosse stato più opportuno, finalmente, che a sostituirli   fossero gli scienziati a manovrare le leve del potere. Alla luce dei fatti sembra che quell’auspicio, in parte, abbia preso corpo un secolo e mezzo dopo.

Sono i  comitati tecnico scientifici a prendere le decisioni anche su aspetti non di merito. C’è quello del ISS, l’altro del CSS, poi l’OMS, la Protezione Civile, e i vari rappresentanti di AIFA, di Inail, dello Spallanzani, del Policlinico Gemelli, oltre ai vari commissari di parte. Il più delle volte soggetti non comunicanti tra loro a sentire le diverse opinioni nelle varie interviste televisive. In questa task force manca la politica e soprattutto è assente la rappresentanza del Parlamento. Manca soprattutto il governo nel suo insieme, esautorato dalle sue funzioni e rappresentato dal presidente del consiglio tutus tuus alle decisioni, non al parere, dei comitati scientifici.


   Senza sostituirci alla scienza che fa il suo lavoro, anche con macroscopici errori di valutazione, e non sempre con una certa coerenza, tuttavia non si può accettare che la politica non assolva alle sue funzioni e non assuma responsabilità.
Se non possiamo chiedere alla politica risposte che non può dare, nel caso specifico sul covid19, sulla durata della pandemia, sulle cure e sui vaccini, d’altra parte la stessa politica non può rinunciare a dare risposte che solo essa può dare. Risposte che non possono essere date dai comitati scientifici né possono essere delegate a questi ultimi.
Avevo scritto nel precedente post che tra dpcm, decreti, raccomandazioni, circolari, ordinanze, chiarimenti, interpretazioni esplicative, tutto, in questo Paese, va a briglie scolte.
Il governo che non ha alcuna visione di come affrontare quest’immane tragedia tranne quella di campare alla giornata. Nonostante siano passati tre mesi dalla decretazione dello stato di emergenza e più di due mesi dalla dichiarazione delle prime zone rosse lo stato confusionale del governo e delle regioni rimane sempre più alto e rappresenta plasticamente l’incapacità della politica di comprendere la realtà delle cose.
Stato confusionale e approssimazione sono da considerarsi, a oltre un mese dal lockdown, il maggiore responsabile dei disastri avvenuti, in particolar modo della morte di oltre cento medici assieme agli altri operatori sanitari e della mattanza che sta avvenendo nelle RSA. La strage dei nonni che evoca l’altra strage, quella degli innocenti. Migliaia di anziani non monitorati   né protetti, abbandonati in strutture lasciate privi di protezione, quando era talmente chiaro a tutti, agli scienziati in particolare, che il bersaglio del coronavirus era proprio loro. Omissione difficilmente giustificabile da parte di chi nel consigliare il distanziamento totale dimentica che la fascia di popolazione più debole, più vulnerabile, è stata colposamente abbandonata in strutture prive di dispositivi sanitari, e facilmente soggetta alla penetrazione del Covid19. Ed era su quelle strutture che bisognava intervenire con la stessa priorità e con tempestività.
Non so quando e come ne usciremo da quest'angoscia, ma se ci sarà data la possibilità di raccontare ai nostri nipoti quanto stiamo vivendo, questo 2020 sarà ricordato nei libri di storia come l’anno della strage dei nonni, dei medici, dei religiosi. E il colpevole non sarà solo il coronavirus.

sabato 4 aprile 2020

Quarta settimana di quarantena. Cosa sarà del sud?



Quando le regioni sostituiscono la ragione

 Tra dpcm, decreti, raccomandazioni, circolari, ordinanze, chiarimenti, interpretazioni esplicative, tutto, in questo Paese, va a briglie scolte.
Il governo che non ha alcuna visione di come affrontare quest’immane tragedia tranne quella di campare alla giornata. E se non ha meglio da fare, scarica le sue responsabilità sulle regioni. Le stesse regioni che si muovono in modo sparso, senza una linea guida comune, soprattutto laddove Covid19 continua a fare mattanza di medici e operatori sanitari. Costoro, insieme agli anziani e alle imprese, sono le vere vittime del virus. I comitati scientifici che si scornano tra di loro se continuare a fare tamponi ai sintomatici o allargare la platea, e altri che invocano una ricerca a tappeto degli anticorpi virali. La politica che rimane in surplace nel decidere per quanto tempo continuare con il distanziamento totale e coatto o lasciare libertà di scelta come in Svezia, decisione presa su una valutazione  costi benefici, simile  a quanto annunciato, all’inizio della pandemia, dal premier britannico  Boris Jonhson tranne poi essere smentito dall’intera comunità scientifica. Anche sulla Svezia staremo a vedere, peraltro non mi convince quest’ entusiasmo di alcuni sulla diversità di scelta degli scandinavi.
I vari governatori in preda a sindrome di cesarismo, forti delle competenze assegnate loro da uno sgangherato titolo V della Costituzione, o come quello siciliano che in forza dello statuto vorrebbe nominarsi sceriffo per la tutela dell’ordine pubblico e il controllo del territorio. Chiaro che di fronte a tale situazione di iniziative a scacchiera, vien meno l’autorità del governo nazionale già in deficit di autorevolezza.


Lo stesso governo si dimostra in piena crisi di nervi se gli stessi ministri ogni giorno si affacciano alla ribalda con autonomia di pensiero, generando controversie e confusione
Ancor più grave quando è l’intero governo a riconoscere la propria incapacità di programmare la ripresa sul come, quando, dove e chi, abdicando alle sue funzioni e sottomettendosi totalmente alle decisioni degli scienziati. Non consideriamo, poi, il fatto che   alti dirigenti sottoposti alle direttive del governo, di propria iniziativa e in piena autonomia, si sperticano in dichiarazioni che vanno al di là delle scelte governative.
E se è lo stesso presidente del consiglio che nella conferenza stampa non è in grado di prevedere l’inizio della fase 2 dopo il 13 Aprile, ci pensa il capo della Protezione Civile, a spingersi oltre la data del decreto governativo spostando un ipotetico inizio della ripresa graduale delle attività, addirittura dopo la seconda età di maggio. Un Paese che viene costantemente lasciato allo sbando da una mancanza di comunicazione certa che riflette lo stato di smarrimento della politica.
Gli italiani si aspettano che chi li guida sappia far tesoro dei loro sacrifici e si mostri all’altezza anche del compito di alleviare le frustrazioni che si stanno facendo largo. Si richiede molta attenzione da chi ha l’onere di esercitare il potere, nel prendere provvedimenti con risolutezza e nel comunicare con chiarezza. E soprattutto rasserenare una nazione tenuta nello sconforto e avviata verso una crisi depressiva


Poi scoppia il caso delle mascherine; vanno usate? No, sì, nì, tanto che la stessa OMS sta rivedendo le sue raccomandazioni, orientandosi in modo opposto alle prime direttive, lasciando via libera anche al loro uso da parte di tutti i cittadini e non solo degli operatori sanitari.
Ancora una volta è la ragionevolezza a venir meno sin dall’inizio. Si va avanti per step, alla giornata, non precedendo i fatti ma lasciandosi guidare in modo raffazzonato da essi. Basta osservare quel che sta accadendo nel mondo della scuola con una ministra incapace di prendere un decisione quando la realtà è sotto gli occhi di tutti.
Intanto in Lombardia in particolare e nelle altre regioni dove i contagi e le vittime continuano a essere migliaia e dove, attraverso il distanziamento sociale, oltre ad arginare il contagio si spera nella riduzione drastica di quell’ R0 minore di 1, nell’auspicio, in tal modo che si avvicini in maniera molto approssimata  all’immunità di buona parte della popolazione Non si è all'immunità di gregge, ma ciò consentirà di riprendere  gradualmente la normalità e, pur con le dovute precauzioni,  ritornare alle attività produttive e alle relazioni sociali, consapevoli che con Covid19 si dovrà convivere.Il virus continuerà  a circolare, anche se con minor impatto sul sistema sanitario,che sarà nelle condizioni ottimali per  affrontare senza stress i ricoveri e assicurare le terapie.


 E il Sud?
Il Sud ha cercato di tutelarsi inserendo le regioni in un sistema di bolle protettive, isolanti, senza alcun coordinamento, senza una visione d’insieme, con ciascun governatore che ha recintato il proprio orticello e predisposto quarantene per chi si fosse permesso di oltrepassare i  sacri confini, secondo la ratio che essendo i sistemi sanitari regionali meridionali un colabrodo e assolutamente incapaci di affrontare la pandemia, un ingresso del virus avrebbe avuto conseguenze apocalittiche con centinaia di migliaia di vittime. Fin qui le cose sono andate bene, il sistema di bolle resiste e l’intero meridione sembra contenere bene le infezioni ad oggi molto limitate, tranne qualche caso sporadico e focalizzato su residenze per anziani e dove i degenti appaiono deboli e vulnerabili al virus.

Ma è proprio questo apparente guscio protettivo il punto debole dell’intero meridione e della Sicilia in particolare. In tal modo, se da una parte non si consente al Covid19 di sfondare, dall’altra lascia milioni di persone senza avere mai avuto contatti con il virus e privi di difese immunitarie, non potendo contare, anche in parte, di una protezione anticorpale. 


Cosa succederà quando la prossima estate, finita l’emergenza, tolti i presìdi a difesa dell’ingresso nelle regioni e  gli obblighi di quarantena, rese permeabili le bolle, la moltitudine di studenti e di residenti di quelle regioni, molti dei quali hanno acquistato una casa per le vacanze al sud, ritorneranno nelle loro famiglie di origine e invaderanno, piazze, pizzerie, ristoranti, spiagge, discoteche, centri commerciali, ripristinando quegli assembramenti gioiosi e scanzonati tipici delle nostre serate estive? Si dirà che una volta guariti non potranno essere vettori del virus. Ma poiché il virus continuerà a girare nelle regioni di provenienza, è assai probabile che molti di costoro possano trovarsi nella condizione di contagiati asintomatici.
Che fare? Non rimane altro che continuare con le misure di prevenzione tuttora in corso. Altrimenti sarà l’inizio certo dello tsunami nel sud. 


giovedì 26 marzo 2020

Cosa ci sta insegnando questo virus?


 Bergamo.Il vescovo e il sindaco alla benedizione delle ceneri dei deceduti

Cosa ci sta insegnando questo virus?

 Che ci eravamo illusi di avere cresciuto una generazione di giovani superman, autonomi, temprati alle difficoltà e alla vita solitaria dello studio, di intelligenze superiori, di giovani brillanti, forti, coraggiosi, competenti, migliori di quanto lo siamo stati noi alla loro età. Poi il virus ci ha dato una sberla formidabile. Quei giovani viziati a mojito, sushi, sushimi e apericene al primo segnale sono scappati, impauriti, per andare a rifugiarsi tra le braccia della mamma e della nonna. Le conseguenze le conosciamo. Anche loro non sfuggono all’umana paura. Fine di un mito. Cari genitori tenete conto di ciò prima di eccellere nello sperticare in elogi e vanterie i vostri figli.




Cosa ci sta insegnando il  coronavirus? 
La costruzione di storytelling.
Qualcosa che avevamo dimenticato e che pensavamo essere stata abbandonata nell’era dell' informazione globalizzata: la guerra di propaganda.
Così in questa narrazione si afferma il principio di causalità per cui un evento è preceduto da una causa. E questo principio è anche motivo di propaganda politica interna o esterna, al di là dell’obbiettività scientifica dei fatti.


Fa molto discutere un articolo pubblicato sul Global Times (magazine del Partito comunista cinese) in cui si suggerisce che l’epidemia potrebbe avere come origine l’Italia e non la Cina, come pensa il resto del mondo e molti cinesi e soprattutto la comunità scientifica.
Ma la guerra a suon di propaganda tra gli Usa e Cina diventa più virulenta del Covid19 , come scrive Asia news, se da entrambe le parti ci  si spinge ad enunciare l’ipotesi che il Covid-19 fosse il frutto di ricerche compiute da un laboratorio di Wuhan impegnato nello studio delle guerre batteriologiche. Ipotesi sostenute da giornalisti e da personalità politiche degli Stati Uniti, come Mike Pompeo, che definisce il virus “il coronavirus cinese”, o “di Wuhan”.
É il lieto motivo dell’amministrazione Trump con finalità ovviamente interne in vista delle prossime elezioni presidenziali.
 Immediata la reazione da parte di Zhao Lijian, portavoce del ministero cinese degli Esteri che ha scritto “Potrebbe essere stato l’esercito Usa ad aver portato l’epidemia a Wuhan… L’America ci deve una spiegazione!”. L’accusa appare legata alla partecipazione di membri dell’esercito Usa ai Giochi mondiali militari, tenutisi a Wuhan nell’ottobre scorso, che ha radunato rappresentanti da oltre 100 nazioni.




E se ciò non bastasse, negli ambienti del partito comunista cinese gira anche un motivetto malizioso di virus italiano. Ci risiamo con l'untore Italia. La solita storiellina che deresponsabilizza un governo che forse ha qualche cosina da farsi perdonare agli occhi del mondo e della comunità scientifica, nonostante abbia, in seguito, messo in campo una notevole macchina terapeutica , e si sia aperto alla condivisione delle informazioni.
Non potevano mancare le fake news sull’origine di questo coronavirus, se persino si rispolvera una  vecchia trasmissione televisiva della RAI che, rifacendosi ad un articolo di una delle più serie riviste scientifiche internazionali, Nature, rendeva nota  la creazione del virus in un laboratorio cinese.
E’ bastato poco perché la stessa notizia si diffondesse enormemente amplificata dai divulgatori scientifici formatisi nella Democratica Accademia di Scienze Superiori di FB. Bufala naturalmente riportata con grande evidenza dai media nonostante le autorevoli smentite del direttore di Nature e  della stessa Rai, sia degli stessi  scienziati, in quanto quel virus sintetico non aveva niente a che vedere con l’attuale Covid19 di origine animale. 




Cosa ci sta insegnando il cornavirus? 
Che esiste una realtà virtuale, una Second life, quella dei social, in cui ciascuno vive attraverso il propri avatar, destinato a combattere con altri avatar in una guerra di sciocchezze, falsità, cattiverie, insulsaggini, escrezioni linguistiche fatte passare per intemerate verità, per assolute certezze, per rivelazioni dottrinali.
Alcuni esempi: causa dell’epidemia la tradizione culinaria cinese che mangiano pipistrelli;
le mascherine proteggono dai virus,la barba lunga aiuta il contagio,mangiare aglio uccide il virus,il virus è un ceppo mutato di quello dell’influenza.
 Una vera infodemìa responsabile di generare paura e ansia nella popolazione. 
 
medici cubani. Ansa

 Cosa ci ha insegnato questo coronavirus? 
Una Europa senz'anima, indifferente e disattenta ai bisogni comuni, in cui la solidarietà è un concetto virtuale,una parola astratta,vuota,effimera,priva di sostanza, pregna d'ipocrisia. Un'Europa  manipolo di statarelli nevrotici, egoisti, ciascuno curante del proprio orticello, incapaci di avere un disegno comune, di tracciare una prospettiva nei momenti dei bisogni. Mentre in Italia arrivano in soccorso delle regioni profondamente colpite dal covid19,  equipe di medici volontari,accompagnati da presìdi sanitari, i cubani con i loro indumenti primaverili, i cinesi con il loro carico di mascherine e respiratori, i russi con i loro specialisti, nessuna bandierina europea viene sbandierata. Una vera e propria omissione di soccorso di cui si dovrà tenere presente e riflettere se vale ancora la pena ostentare una fede europea. Verrà il giorno in cui quest'Europa dovrà rendere conto delle sue responsabilità.




Cosa ci ha insegnato questo  coronavirus?

 Lockdown. Letteralmente blocco, e in senso esteso, blocco di tutte le attività non indispensabili con obbligo di dimora nelle proprie abitazioni al fine di limitare libertà di movimento e diritti personali. Un sacrificio, questa quarantena, che ci ha messo dinanzi a qualcosa che mai avremmo potuto immaginare. La solitudine.  Solitudine come percezione e come relazione affettiva. La nostra solitudine e quella degli altri. La solitudine intrisa di paura. La paura di non potere avere il contatto fisico con i figli, che genera panico per non potere più accarezzare i tuoi nipoti, i tuoi affetti più cari, di non potere avere contatti fisici con i tuoi amici, con le persone. La solitudine degli anziani resa più marcata dalla mancanza di conforto. Il lockdown deruba soprattutto i più deboli dell’ultimo contatto con i propri cari; fa morire soli, disumanizza l’uomo, lo priva del conforto della fede, dell’ ultimo commiato, del  funerale, anche il più intimo, annulla ogni espressione di  dolore,  trasformando l’uomo in un numero statistico o in un anonima urna cineraria, come se in questo mondo non ci si  fosse mai stati.
Ecco questo e altro ci sta mostrando il virus. E tanta,tanta retorica.